RINALDO IACOVETTI

nella Chiesa di S. Sebastiano

a Sutri

©le seguenti notizie sono state liberamente estrapolate dall’articolo di FIORELLA PROIETTI

         pubblicato in: STUDI ROMANI, Anno LIX, nn. 1-4 –Gennaio-Dicembre 2011

  1. 1- Rinaldo Iacovetti da Calvi, Madonna in trono fra i Santi Sebastiano e Rocco, (1508)

Sutri, chiesa di S.Sebastiano.

 

        Due documenti conservati nell’archivio notarile di Sutri[1] permettono di aggiungere una nuova opera al catalogo di Rinaldo Iacovetti, pittore di Calvi dell’Umbria, attivo nel primo quarto del XVI secolo. Si tratta di un affresco situato sull’altare maggiore della chiesa di S. Sebastiano a Sutri.

Il primo documento è un atto rogato dal notaio Giovanni Conti[2] il 27 aprile del 1508[3]. In esso si legge che il maestro Prisco di Coluzia di Basile, priore della confraternita e della società della Chiesa di S. Sebastiano, ha pagato a mastro “Rinaldo di mastro Brancazio di Calvi” un acconto di otto ducati per un “lavoro di pittura” che questi deve eseguire nella chiesa di S. Sebastiano a Sutri. I committenti avevano già precedentemente stipulato col pittore un contratto di affidamento dell’opera, rogato dal notaio Scipione Quaglioni, che purtroppo risulta mancante nell’archivio sutrino. Non conosciamo quindi il soggetto del dipinto, né le particolari disposizioni impartite all’artista in merito alla sua esecuzione.

        La somma in acconto viene comunque versata al pittore, al momento della stipula di questo secondo atto, nella casa di Angelo di Giuletto dell’Anguillara[4], che si trovava a Sutri nella contrada detta Mesagna, cioè “di mezzo”, comprendente il quartiere centrale della civitas sutrina.

        Il fatto che l’atto venga steso nell’abitazione di Angelo Anguillara fa ipotizzare che proprio questi sia stato il tramite fra l’artista calvese e la confraternita. Ad avvalorare questa tesi ci sono diversi legami tra la nobile famiglia Anguillara e la cittadina umbra, anche precedenti al 1527 quando la Santa Sede nomina Renzo da Ceri dell’Anguillara vicario apostolico di Calvi. Ad esempio nel 1505 il conte Giovanni Anguillara ratifica la donazione di un uliveto – fatta dalla defunta moglie Gerolama alla chiesa di Santa Maria di monte Bono di Sutri -, sito in territorio di Calvi[5] e, nel 1508, lo stesso Angelo Anguillara vende un terreno di sua proprietà a Calvi[6].

        Il secondo atto, rogato dal notaio Nicola Rofolo[7] il 9 luglio del 1508, sembra servire a derimere una controversia sorta tra il pittore e i confratelli circa i tempi di consegna del lavoro finito. Non conosciamo la data dell’allogazione dell’opera ma sappiamo che dal versamento dell’acconto erano passati appena due mesi e mezzo, quindi di non un tempo eccessivamente lungo, considerando che si tratta di un lavoro artistico e non di semplice intonaco tinteggiato.

        I confratelli affermano, però, che mastro Rinaldo “tira per le lunghe il lavoro senza dipingere” mentre loro lo vorrebbero “portato a conclusione e non protratto all’infinito” per cui pretendono che lo stesso s’impegni formalmente con il camerario della confraternita a finire il lavoro in tempi brevi. Viene quindi rogato questo nuovo atto, in casa del camerario Prospero fu Giacomo Petrucciani di professione “bastario”, posta nel Borgo di Sutri[8], nelle immediate vicinanze della piazza. In esso il pittore s’impegna a finire il lavoro entro la metà del mese di ottobre dello stesso anno in modo conguo a quanto convenuto fra le parti e, in caso contrario, a pagare i danni, le spese e gli interessi in cui incorrerebbe la confraternita a causa del ritardo della consegna. A garanzia dell’osservanza di quanto promesso, mastro Rinaldo accetta di essere costretto a pagare quanto sopra per via giudiziaria, in qualunque foro a piacimento di Prospero a Roma e ovunque e anche dal bargello e dai suoi ufficiali, sia per la ragione principale sia per danni, spese e interessi. Il “venerabile” presbitero Giovanni Nardini di Sutri fa da garante per Rinaldo davanti al notaio, ipotecando i suoi beni a favore della chiesa di S. Sebastiano.

        Non è stato fino a ora trovato alcun documento attestante la fine dei lavori o il versamento al pittore di somme a saldo per l’opera compiuta. Occorre, quindi, a questo punto stabilire se l’affresco in S. Sebastiano possa essere con ragionevole certezza attribuito a Rinaldo da Calvi, confrontandolo con lo stile e le opere dello stesso artista sin’ora conosciute.

        Rinaldo, che può essere definito una figura a metà strada tra l’artista e il piccolo imprenditore di provincia, lavora nell’unica bottega all’epoca documentata a Calvi. Si dedica non solo alla pittura, ma anche alla scultura e all’architettura, accettando commissioni per la realizzazione[9] di una chiesa e per sculture in terracotta[10]. E’ il solo tra i fratelli a portare avanti il mestiere del padre Pancrazio[11] , pittore più noto a Viterbo per aver realizzato il Matrimonio mistico di S. Caterina d’Alessandria per la chiesa di S. Maria della Verità, oggi conservato nel Museo Civico.

        Il fratello maggiore Giovanbattista, priore della chiesa di S. Paolo a Calvi e dal 1517 pubblico notaio a Civita Castellana, dovette ricoprire un ruolo importante nel sostenere la sua carriera e nel proporlo per importanti committenze. Datano infatti agli anni Venti del Cinquecento le sue produzioni artistiche conosciute: le due tavole raffiguranti la Incoronazione della Vergine tra i SS. Giovanni Battista, Pietro, Paolo e Valentino, nella chiesa di S. Nicolò a Stroncone, e la Incoronazione della Vergine, nella Cattedrale di S. Liberatore a Magliano Sabina.

        La prima opera è firmata[12] ma non datata, anche se il rinvenimento di un contratto[13] consente di collocare cronologicamente l’esecuzione della pala di Stroncone nei mesi immediatamente precedenti a quella di Magliano Sabina, che reca impressa sulla cornice la data del 21 settembre 1521 ma non la firma dell’artista, al quale è stata attribuita[14] sulla base di un confronto iconografico e stilistico con la pala di S. Nicolò, di medesimo tema.

        Successivo è il contratto – datato 1523 – per la realizzazione di una tavola raffigurante L’Assunzione con intorno i quindici misteri del Rosario per l’antica Cattedrale di Santa Maria Maggiore[15] a Narni. Pur ipotizzando che l’opera sia stata effettivamente realizzata, oggi risulta perduta o dispersa, come anche altri lavori documentati a Calvi e a Stroncone.

        Si conservano ancora, invece, gli affreschi pagati al pittore nel 1525, realizzati nella chiesa di S. Antonio[16] a Civita Castellana, sebbene siano stati molto manomessi[17] ed oggi in cattivo stato di conservazione a causa dell’umidità dell’ambiente. Il documento attestante il pagamento andrebbe però secondo Russo e Santarelli[18], riferito al solo Compianto sul Cristo morto nel catino absidale e all’arco trionfale, mentre gli affreschi dell’abside, più lontani dai modi di Rinaldo, potrebbero essere precedenti e di altra mano. In effetti anche un esame dell’intonaco sembrerebbe evidenziare la linea di congiunzione di due diversi interventi: uno riguardante l’abside e l’altro il catino e l’arco trionfale.

        L’archivio di Calvi, ricco di testimonianze riguardanti la vita privata del pittore, sembra però privo di documentazione relativa alla sua attività artistica nei primi decenni del XVI secolo, il che ha fatto ipotizzare che Rinaldo, in questo periodo, abbia lavorato fuori della propria città. Ha avvalorato questa ipotesi la scoperta nell’archivio notarile di Narni di un documento, datato 1514, riguardante l’importante commissione affidata al pittore della decorazione a fresco della cappella del vescovo Pietro Gormaz nella cattedrale di S. Giovenale a Narni. Del lavoro che sarebbe stato compensato con la notevole somma di 100 ducati d’oro, non resta nulla eccetto le dorature del tabernacolo.

        Sul primo decennio del secolo rimaneva comunque il buio più completo, finalmente rischiarato da questi atti trovati nell’archivio di Sutri, che ci permettono di colmare il vuoto documentale riguardante le opere giovanili di Rinaldo Iacovetti[19].

        Il dipinto murale di Sutri, raffigurante una Madonna in trono col bambino benedicente fra i Santi Sebastiano e Rocco, si trova sull’altare maggiore della chiesa di S. Sebastiano, edificio situato nella zona centrale della civitas sutrina, non lontano dalla piazza, denominata nei documenti platea fori.

        La chiesetta, gestita dall’omonima confraternita era stata ricostruita in sostituzione di un’altra omonima chiesa diruta[20], a partire dal 1498, in contrada “Mesagne”, nella strada “che andava alla chiesa di S.Francesco” ed i lavori erano terminati con la decorazione pittorica dell’interno eseguita da Rinaldo. Diversi interventi successivi ne hanno completamente modificato la struttura, tanto che non è più possibile oggi avere un’idea dell’impianto originario. Modifiche sostanziali alla zona dell’altare sono state apportate dopo la visita pastorale nel 1689[21] dal Vescovo Giusti, il quale fa annotare che le pitture dell’altare maggiore sono troppo scolorite e rovinate a causa della vetustà e dell’umidità. Si invita, quindi, il Priore della Confraternita a sostituirle con una nuova icona, anche in tela, al fine di rendere l’altare più decoroso. Il termine post quem per la sostituzione dell’affresco di Rinaldo con una nuova immagine è il 12 giugno 1692, quando lo stesso vescovo, durante la successiva visita[22], annota che è stata apposta una nuova icona, ma che è necessario preservarla dall’umidità proveniente da un cortile scoperto, che si trova dietro l’altare maggiore. E’ in questo momento che, probabilmente, il cortiletto viene chiuso e utilizzato come sacrestia, cui si accede tramite due aperture simmetriche poste ai lati dell’altare maggiore.

        Il dipinto di Rinaldo viene nascosto sotto una tela, inserita nella stessa cornice che ancora oggi ne impedisce parzialmente la vista. E’ ancora una visita pastorale[23] a svelarci l’iconografia della tela: alla Madonna e ai due Santi dell’affresco viene aggiunta l’immagine di S.Giovanni Battista, probabilmente perché dal 1564 la confraternita sutrina si era fusa con quella di S. Giovanni decollato di Roma.

        La documentazione rinvenuta e l’osservazione del dipinto non sembrano, in ogni modo, lasciare dubbi sulla paternità di Rinaldo. Basti ad esempio il confronto tra il S. Rocco di Sutri e gli angeli nelle pale di Magliano e Stroncone per convincersene, anche se le due tavole sono cronologicamente abbastanza distanti dagli affreschi in S. Sebastiano.

        In una scheda di catalogo della Soprintendenza[24] l’opera viene accostata alla pittura umbro-viterbese della seconda metà del XV secolo, in particolare ai modi di Antonio del Massaro detto Pastura. La studiosa Lisandra Franco de Mendonca ne sottolinea, invece, le varie affinità anche con un gruppo di opere di Pinturicchio, specie per quanto riguarda la mano del bambino che stringe l’uccellino e i Santi Rocco e Sebastiano, che confronta con alcuni personaggi dipinti nell’Appartamento Borgia in Vaticato e anche con alcuni volti in disegni e opere giovanili di Raffaello[25].

        Sicuramente Rinaldo, vivendo in un paese come Calvi ben collegato con le città più importanti grazie alla vicinanza di grosse vie di comunicazione come la Salaria e la Flaminia, sarà venuto a contatto sin da giovane con la pittura dei grandi maestri umbri quali Pinturicchio e Perugino. Quest’ultimo in particolare può essere stato la fonte da cui il pittore ha tratto l’ispirazione per i suoi lavori. Osservando la Madonna col Bambino e Santi del Perugino nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, possiamo notare la stretta analogia tra i serafini perugineschi e quelli nelle tavole di Stroncone e Magliano di Rinaldo, ma specialmente il volto di S. Michele Arcangelo e il suo particolare copricapo sembrano ripresi nella figura di S. Rocco di Sutri. Analoga rappresentazione iconografica di S. Rocco con questo strano cappello si ritrova nella parete attigua alla Madonna in trono con Bambino e Santi (1509) del peruginesco  Tiberio di Assisi, nella chiesa di S. Francesco a Stroncone.

        E’ però, in modo particolare, l’espressione sui volti degli angeli e dei santi ritratti da Rinaldo ad evocare alcuni lavori del Perugino, quali ad esempio la Santa Maria Maddalena o il ritratto di giovinetto degli Uffizi.

        La Madonna in trono e la particolare postura del Bambino nudo e benedicente, che appoggia il peso sulla sua sola gamba destra ricorda, invece, alcuni stilemi tipici di Pier Matteo D’Amelia, in modo particolare l’affresco nella chiesa di Sant’Agostino a Narni.

        La particolare iconografia del dipinto potrebbe, in parte, spiegare e giustificare la fretta dei committenti e le pressioni che esercitano sull’artista perché l’opera venga terminata al più presto. Varie pestilenze e malattie contagiose sono infatti documentate nella seconda metà del Quattrocento nella Tuscia (l’ultima in ordine di tempo è registrata fra il 1499 e il 1500) e in particolare a Sutri, dove il transito verso Roma era particolarmente intenso. La fama acquistata da S. Rocco, verso la fine del XV secolo, per alcune intercessioni salvatrici di numerose città dal pericolo della peste, aveva determinato un po’ ovunque la sua associazione a S. Sebastiano sulle pale dell’altare.

        I due santi taumaturghi avrebbero protetto i fedeli della civitas preservandone il corpo, così come la Vergine col libro della Sapienza e il Bambino benedicente, con l’uccellino nella mano[26], avrebbero fatto con le loro anime.

 

 

[1]  Gli atti sono stati rinvenuti durante una campagna di studi sul territorio di Sutri condotta insieme al signor Zuchi Luigi appassionato studioso sutrino che ha reso noto inediti e interessanti documenti sulla storia, la cultura e le attività artigianali e commerciali della Città nel XVI secolo, confutando molte notizie pubblicate nel tempo, assolutamente prive di fondamento storico.

[2]  Comune di Sutri, Archivio notarile di Sutri, notaio Giovanni Conti, prot.100, anni 1508-1509, f. 19r-v.

[3]  Questo documento è stato parzialmente trascritto e pubblicato nel 2004 da Fabiano Tiziano Fagliari Zeni Buchicchio.

[4]  Da altri numerosi atti Angelo e Giuletto risultano membri della famiglia Anguillara.

[5]  Comune di Sutri, Archivio notarile di Sutri, notaio Nicola Rofolo, prot.45, anni 1505-1506, ff.11-12.

[6]  Comune di Sutri, Archivio notarile di Sutri, notaio Berardo Curzi, prot.138, anno 1508, ff.20-25.

[7]  Comune di Sutri, Archivio notarile di Sutri, notaio Nicola Rofolo, prot.47, anno 1508, ff. 164v-165r-165v.

[8]  Sin dal Medioevo l’abitato di Sutri si estendeva in parte sull’altopiano tufaceo, la civitas, e in parte nella zona a valle sottostante, presso la via Cassia, il burgus.

[9]  Archivio notarile di Calvi, notaio Nicola Fabri, prot.153, cc. 12v-13r (30 luglio 1523) Trascritto da S. Santolini, I pittori del sacro Pancrazio e Rinaldo Iacovetti da Calvi una famiglia di pittori umbri tra il XV e XVI secolo, Arrone 2001, p.171.

[10]  Archivio notarile di Calvi, notaio Cherubino Iacobuzi, prot.158, c 24v (30 aprile 1524). Trascritto da S. Santolini, cit., pag. 171.

[11]  Negli atti notarili antichi nomi e patronimici mostrano un’ampia variabilità di forme scritte: Pancratico o Brancazio vengono spesso riportati al posto di Pancrazio, come anche Rainaldo o Rinallo al posto di Rinaldo.

[12]  Nel cartiglio ai piedi del putto centrale si legge: OPUS RAINALDI DE CARBIO.

[13]  Contratto di allogazione a Rinaldo da Calvi della cornice della pala. Archivio notarile di Stroncone, notaio Lorenzo Petrucci, prot.74, c. 24r (14 luglio 1521). Trascritto da S.Santolini, cit., p.168.

[14]  Cfr. F. TODINI, La pittura umbra dal duecento al primo cinquecento, Milano 1989.

[15]  Archivio di Stato di Terni, Archivio notarile di Narni, notaio Antonio di Tommaso, prot.29, cc. 188r-v-189r (8 marzo 1523), trascritto da S. Santolini, cit., p. 169. La chiesa è oggi intitolata a S. Domenico.

[16]  Cfr. L. Cimarra, Artisti e opere d’arte a Civita Castellana nei secoli XV-XVI, in “Biblioteca e Società”. XII (1993).

 

17 Archivio Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Lazio (in seguito SBAS Lazio), schede OA nn. 12/00221649-52, compilatore G. Mencarelli, 1972: si legge “Nella conca absidale, sopra il finto zoccolo marmoreo, entro nicchie separate da pilastrini, alcune figure di Santi; al centro S.Antonio abate benedicente, a sinistra S. Antonio abate e S. Giovanni Battista, a destra S. Caterina e Sant’Antonio in abito da penitente. Nel catino è raffigurata la pietà col Cristo sorretto  dalla Vergine, dalle due Marie, da S. Giovanni e da Giuseppe D’Arimatea. Ai lati due medaglioni con l’annunciazione, sull’arco Dio Padre barbuto e le figure di un profeta e di una sibilla. Sotto la figura centrale di S. Antonio si legge: HOC FIERI FECEBAT FR HIERONIMUS DE ALTERISCHIS DE MONTELEONE MDXXV”. Nelle schede si dice che gli affreschi sono stati restaurati maldestramente e che risultano in parte scialbati e in parte pesantemente ritoccati.

 

[18] L.Russo-F.Santarelli, La media valle del Tevere. Riva destra, Roma 1999.

[19]  Rinaldo nasce presumibilmente nel 1475 e muore nel 1528 circa.

[20] La notizia della ricostruzione è stata rinvenuta da Luigi Zuchi fra le carte dell’Archivio storico sutrino dopo la pubblicazione dell’articolo di Fiorella Proietti.

[21]  Archivio storico diocesano di Civita Castellana, visita pastorale del 15.4.1689, vescovo Francesco Giusti.

[22]  Archivio storico diocesano di Civita Castellana, visita pastorale del 12.6.1692, vescovo Francesco Giusti.

[23]  Archivio storico diocesano di Civita Castellana, visita pastorale del 15.2.1704, vescovo Joseph Cianti Arberinus.

[24]  Archivio SBAS Lazio, scheda OA n. 12/00207739, compilatore F. Picchetto, 1972, e aggiornamento a cura di E. Borsellino, 1980. In essa si legge: “La Madonna vestita di una tunica rossa e di un manto rosa foderato d’azzurro, siede su un trono e si volge a sinistra. In piedi sulla gamba destra della Vergine, Gesù bambino, nudo con un panno sui fianchi, benedice con la destra e stringe sulla sinistra un uccellino. A destra San Rocco in piedi con abito verde, tiene nella mano destra il bastone del pellegrino. A sinistra San Sebastiano nudo con un panno verde intorno ai fianchi. Nel suo corpo due frecce”. Ed inoltre: “Interessante opera che risente molto da vicino della pittura umbro-viterbese della seconda metà del XV sec., in particolare all’opera del Pastura, cfr. La Madonna con Bambino, a Viterbo, Palazzo Chigi”.

[25]  L.FRANCO DE MENDONCA, La Madonna in trono fra i santi Sebastiano e Rocco in S. Sebastiano, in Pittura a Sutri dal Medioevo al Novecento, a cura di E.Guidoni, Vetralla 2002, pp. 25.35.

[26]  L’uccellino nella pittura cristiana, mantiene il simbolismo che già aveva in quella pagana, ovvero rappresenta l’anima umana che vola via alla morte del corpo.

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